A una certa età scatta spesso la coazione a ripetere. Che peccato

Via Corriere Della Sera

SE ANDATE A PAGINA 88, tra le nostre Correcensioni, troverete un commento entusiasta sulla recente esibizione di David Byrne (American Utopia) al Teatro degli Arcimboldi di Milano. L’ho scritto io. Non è stata soltanto una splendida serata, e un modo di convincere mia moglie Ortensia che i Talking Heads sono geniali (in occasione del nostro 32° anniversario di matrimonio, tanto ci ho messo a persuaderla). Il concerto mi è piaciuto perché dimostra una cosa: non è necessario ripetere e ripetersi. Si può inventare a qualsiasi età.

DAVID BYRNE HA COMPIUTO 66 ANNI, e si muove sul palco come un grillo (vogliamo conoscere il suo osteopata). Lo avevo visto a Berlino nel 1979, quando avevo 22 anni (e lui 27): il grillo allora scattava come una mangusta, e per me la sua musica fu una rivelazione. Mi aveva trascinato al teatro Metropol un’amica inglese, decisa a rieducarmi: non poteva sopportare che ascoltassi solo Cat Stevens e Crosby, Stills, Nash & Young. This Must Be the Place e Life During Wartime cambiarono i miei gusti, e – credo – la mia comprensione del ritmo delle cose. Ho capito, una sera d’inverno, reduce da Berlino Est, che il mondo si muoveva, anche più in fretta dei Talking Heads.

DAVID BYRNE NON LO SCOPRO IO, OVVIAMENTE. È un artista poliedrico, e riesce a fare bene tutto quello che affronta. Perché ha intuito, gusto, passione artigianale per i dettagli. Il gruppo musicale di American Utopia è formato da dodici persone in movimento; non si vede un cavo, gli strumenti – dalle percussioni alla tastiera – vengono portati/indossati, e contribuiscono alla coreografia. Un concerto che diventa un ballo che diventa un racconto teatrale. Semplice, forse; però bisogna pensarci. E provarci.

DAVID BYRNE CI HA PENSATO E CI HA PROVATO. Molti l’ammirano per questo. Ha ridato fiato ed energia ai classici dei Talking Heads; ha messo nuovissime tecnologie al servizio delle idee (non il contrario, come spesso accade). Come David Bowie, ha unito generi diversi, mescolando le sue molte esperienze (dall’arte figurativa ai libri, dal cinema al teatro). Non succede spesso di trovare persone capaci di rinnovarsi dopo tanti anni. Soprattutto se hanno avuto successo. A una certa età, purtroppo, scatta la coazione a ripetere. Le repliche sono rassicuranti, credono in molti (sbagliando). Vale in tutte le professioni.

LO STO VEDENDO ANCHE DURANTE QUESTA ESPERIENZA come direttore di 7. Alcuni coetanei, davanti a una proposta insolita, s’illuminano; altri si spaventano e si ritirano. Vorrei poter aiutare i secondi e mi congratulo con i primi. Non siamo tutti David Byrne, ma credo che il miglior modo di invecchiare sia cercare stimoli nuovi, osare qualcosa, mettere l’esperienza al servizio dell’invenzione; e per far questo è utile mescolare talenti e generazioni.

QUINDI GRAZIE, Mr Byrne. Non ci metteremo a ballare come lei, ma un po’ di riconoscenza gliela dobbiamo in tanti.

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